Prima di leggere, anima bellissima, ti avverto che nel raccontarti di me dovrò toccare temi delicati, per alcune persone dei veri TW e se leggerai, vorrei ricordarti che questa è la mia storia, non quella di tutti e non l'unica valida. Perciò se la tua è diversa ma piena di sofferenze, sappi che è valida ugualmente.
Vedermi ad oggi sembra che io abbia sempre avuto un ottimo rapporto con lo sport, il mio corpo, con l'attività fisica... ma non è sempre stato così. Anzi.
Leggendo sotto capirai come mai, ad oggi, mi fa sorridere il lavoro che ho scelto e comprenderai come mai credo fortemente che, nonostante il passato non si possa cambiare, il futuro si può riscrivere ed essere oltre ogni immaginazione.
Iniziamo.
Feci la prima dieta a cinque, sei anni sotto la prescrizione della pediatra.
Sapevo già cosa fossero le calorie, i cibi "giusti e sbagliati", proibiti fin da bambina e così anche i giudizi e discriminazioni verso un corpo grasso.
L'ultima ad essere scelta nelle squadre di educazione fisica, arrivando a vergognarmi del mio corpo in movimento, del rifiuto, trovando ogni scusa possibile pur di non farla.
La "brava ma devi dimagrire" a ballo, per poter proseguire nelle classi e vincere la borsa di studio che tanto desideravo.
Imparai odiare il mio corpo da subito.
Nessuna dieta funzionava, anche se facevo sport ed ero attiva quel numero sulla bilancia non donava mai sollievo, i negozi non avevano la mia taglia, non mi riconoscevo nelle pubblicità, film, giornalini.
Decisi d'autogestirmi con l'alimentazione e iniziai ad allenarmi ancora di più.
Ogni mattina, prima di scuola, andavo a correre o camminare. Andavo a piedi a scuola, andata e ritorno. Il pomeriggio o mi allenavo a corpo libero o andavo a lezione di ballo.
Meno mangiavo, meglio era. Più pulito mangiavo, meglio ero. Se gli altri mi invitavano ad uscire fuori per un pasto insieme, valutavo dove prima di confermare e poi sceglievo il piatto meno calorico. A volte non uscivo proprio, o raggiungevo gli amici dopo il pasto.
Non avevo eliminato alimenti, ma solo ristretto il più possibile e avendo iniziato a conoscere tutte le diete già da bambina, sapevo quante calorie avessero gli alimenti riconoscendo le quantità anche alla sola vista.
Il molto peso perso nel giro di poco tempo non fu mai un pretesto per chiedermi come stessi, ma una costante glorificazione della mia determinazione e magrezza.
Mi sentivo amata, accettata, valida. Ora sì che la vita mi avrebbe sorriso. Successo, amicizie, amore, felicità.
Spoiler: la più grande bugia che continuiamo a raccontarci.
Il privilegio della magrezza, ma non per indossare un determinato corpo, ma per come quel corpo viene valutato e validato dalla società.
Il giorno del mio diciottesimo compleanno ebbi il primo episodio riconosciuto come diagnosi per Disturbo del Comportamento Alimentare. Anoressia Nervosa.
Non essendo in un sottopeso "grave", le cure ricevuto furono a distanza, su appuntamento, ogni tanto con autogestione personale fuori dalle stanze dell'ospedale.
A me andava bene, non pensavo di star male, non credevo di star male. In quel controllo, in quella bolla sicura che mi ero costruita avevo il comando. Eppure il corpo era sempre più debole, le energie mi abbandonavano ogni giorno di più, sempre più arrabbiata, frustrata, nervosa, perdevo i capelli, il cuore faceva strani scherzi, non riuscivo a concentrarmi sullo studio, mi isolavo sempre di più dalla vita sociale.
Presi la borsa di studio, ma non la sfruttai mai perchè arrivò il momento dove il corpo non reggeva più i ritmi del ballo ed io non avevo più tempo. Tutte le energie erano sul controllare i pasti, controllare l'esercizio fisico, controllare il peso, il mio corpo, una vita che mi faceva paura.
Passarono tre anni prima di arrivare al momento dove forse ho lasciato che fosse il corpo a parlare, anzi ad urlare di dolore e rabbia; a lasciare che "la parte buona" ormai silenziata da troppo tempo potesse trovare un attimo di voce. Chiesi aiuto. Per la prima volta fui io a scegliere di aver bisogno di aiuto e fare quel passo così difficile di accettare che non stavo bene e che da sola non potevo farcela. Rischiai di morire a causa della malattia, ma ad oggi so che un Disturbo Alimentare non è una causa, bensì una conseguenza. Nel mio caso a ciò che ho scritto finora e molto altro ancora. L'attività fisica era diventata il mezzo di compensazione, merito, punizione, controllo e anestetizzante più forte e persistente anche nel percorso di guarigione.
Dovevo controllare il corpo alla fine e così, dopo qualche anno, iniziai un percorso di Body Building, affidandomi a professionisti che non sapevano trattare in nessun modo la mia storia, ma soprattutto in un ambiente con concezioni estreme, con un'ossessione sul corpo come trofeo, pieno di grassofobia e di comportamenti che riscontravo nella me durante il Disturbo Alimentare, da cui ancora ero in percorso di cura. Il famoso pasto sgarro mi portò a conoscere un rapporto verso il cibo... insaziabile. Andavo a nozze con il controllo di ogni macronutriente e calorie giornaliero, ma allo stesso tempo stavo cercando di scoprire cosa fosse per me un equilibrio con il cibo e il weekend diventava il momento dove potevo uscire fuori dalle regole, evadere, compiere un atto "sporco" pieno di tutto ciò che non potevo concedermi nel resto dei giorni. Era una fame famelica e vorace, attesa e bramata dall'intera settimana fino a ritrovarmi in uno stato di trans dove per ore consecutive non smettevo di mangiare, passando da un cibo all'altro senza sosta. I sensi di colpa del giorno dopo prevedevano doppio allenamento e possibile digiuno, o restrizione.
Qualcosa non andava, per fortuna lo capii e questo grazie alla terapia psicologica.
Lasciai che fosse il mio corpo a guidarmi e a destrutturare il rapporto legato allo sport.
In quegli anni iniziai a lavorare come Trainer presso una palestra solo femminile: Mrs.Sporty.
Si accese qualcosa. Vedere quante donne, di ogni età e provenienza, provavano insoddisfazione, disgusto, vergogna, fastidio per il proprio corpo e quanto il loro valore si basava sulla magrezza, su un numero della bilancia, di una taglia di vestiti, di quanta energia usata per essere il più possibile valida per i canoni estetici e di quanto dolore ci fosse per ognuna, unicamente, in tutto questo... smosse qualcosa dentro me.
Negli anni a venire ho conseguito il diploma di Personal Trainer Livello 1, 2 e 3 riconosciuto CONI Europeo, diploma di pesistica, allenamento al funzionale, allenamento al femminile, allenamento della terza età per poi andare nella parte più "emotiva" del corpo, con Yoga, Mindful, Propriocezione, Interocettività, Grundig fino ad appassionarmi alla Mobility.
Ho il diploma anche di Mental Coach e Pronto Soccorso Psicologico, varie partecipazioni a Webinar e conferenze anche in Uk ( dove vivo attualmente), ma utilizzate per accrescere le mie conoscenze e nel lavoro.
Lasciare che il mio corpo sperimentasse movimenti, tempi, forze, energie, spazi diversi e che scoprisse di poter sentire, percepire, accogliere le emozioni nel movimento è stato il risultato del mio percorso, di una parte che è mancata nel passato e che manca nel mondo in cui ci affacciamo.
Ah, alla fine a ballo ci sono tornata. Proprio qui a Londra.
Il ballo era ossigeno, il mio primo e più grande amore, l'unico modo in cui il mio corpo non era un peso, un nemico ma un amico e alleato. Libero.
Si era sporcato da giudizi esterni sul mio corpo, per poi bloccarsi a causa del Disturbo Alimentare.
Non avevo ancora preso il coraggio di riprovarci, perché "ormai è troppo tardi, sono indietro, è passato troppo tempo..." e invece no.
Non esiste un tempo giusto o sbagliato, non esiste un dover aspettare di essere in grado per fare. Possiamo riscrivere la nostra storia, possiamo voltare pagina e andare avanti in nuovi capitoli senza dimenticarci di quelli prima. Possiamo riappropriarci dei nostri corpi, meritevoli di esistere perché esistono con noi.
Questa è parte della mia storia e da qui nasce BodyHome.
Poter vedere e approcciarsi all'attività fisica per un benessere psicofisico, per sentire e connettersi con il corpo. Per essere se stessi abbracciandosi, non per apparire allontanandosi, modificando pezzi.
“Il corpo è casa e tante sono le case in cui ho abitato senza mai esserne soddisfatta, senza mai sentirmi davvero a casa nella mia pelle, nel riflesso, nello spazio che occupavo, nei luoghi in cui questo corpo andava, viveva.
Tante sono le volte in cui ho provato a cambiare casa, a cambiare corpo.
Nella forma, a pezzi, nel peso, in numeri, grandezze.
Fin quando ha sofferto, scelto e combattuto per reclamare il diritto di esistere.
Libero.
Non sono mai stata a casa in nessun luogo quando il mio corpo non andava bene in
nessun posto ed ora che sento il mio corpo appartenere all’intera vita meritevole di
viverla unicamente perché esisto e d’esserne l’unica proprietaria, ho compreso
che una casa l’ho sempre avuta ed è quella dove ho sempre vissuto.
È cresciuta con me ogni giorno, nonostante tutto.
La mia casa è il mio corpo.
La mia casa sono io. “
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